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Lavoratori sfruttati nel tessile, il biglietto d’aiuto nei jeans Primark
Un biglietto ritrovato per caso in un paio di jeans dimenticati in un armadio riapre un argomento sempre poco discusso come quello dei lavoratori sfruttati nell’industria tessile: l’azienda risponde aprendo un’inchiesta.
- *Aggiornamento 30 Giugno
Riceviamo e pubblichiamo la rettifica di H&M sulla loro ipotizzata presenza al Rana Plaza di Dacca:
H&M non ha mai avviato una produzione presso nessuna delle fabbriche situate all’interno del Rana Plaza Building, ad ogni modo, quanto è accaduto ci ha addolorato profondamente e siamo vicini alle famiglie delle molte vittime colpite dal disastro.
H&M è stata la prima azienda a siglare il Fire and Building Safety Accord, a maggio del 2013, al fine di garantire una maggior sicurezza nell’industria tessile in Bangladesh.
Inoltre la H&M Conscious Foundation ha deciso di fare una donazione di 100.000 dollari alle vittime e ai familiari colpiti un anno fa da questa tragedia.
Karen Wisinska, una donna irlandese, non pensava probabilmente che i suoi jeans acquistati da Primark tre anni prima e riposti nell’armadio per colpa di una cerniera difettosa potessero essere depositari di un messaggio importante: all’interno di una delle tasche dei jeans, la donna ha trovato infatti un biglietto recante una scritta in cinese preceduta da un eloquente grido di aiuto “SOS! SOS!”. Per decifrarlo, Karen Wisinska lo ha postato su Facebook e si è affidata alle conoscenze di internet: ciò che è emerso dal biglietto ha scatenato una serie di gigantesche polemiche e reazioni mondiali, perché il messaggio in cinese esprime una condizione lavorativa pari allo sfruttamento.
Nel biglietto si legge:
Siamo detenuti nella prigione Xiangnan di Hubei, in Cina. Da molto tempo lavoriamo in carcere per produrre abbigliamento per l’esportazione. Ci fanno fare turni da 15 ore al giorno. Quello che ci danno da mangiare è perfino peggio di quello che si darebbe a un cane o a un maiale. Siamo tenuti ai lavori forzati come animali, usati come buoi o cavalli. Chiediamo alla comunità internazionale di condannare la Cina per questo trattamento disumano.
I jeans sono stati prodotti in Cina per l’azienda di abbigliamento Primark, celebre catena lowcost inglese in vendita in moltissimi paesi europei che disloca la produzione all’estero; è il terzo caso di messaggio di aiuto riguardante le condizioni disumane degli operai tessili che lavorano Primark ad emergere in questi giorni, dopo il caso delle etichette delle istruzioni di lavaggio cui erano state aggiunte, in inglese e in due diversi abiti venduti in Galles e in Irlanda del Nord, “Condizioni di sfruttamento degradanti” e “Costretti ad ore di lavoro estenuanti”.
L’azienda inglese ha risposto con un comunicato nel quale annuncia l’avvio di un indagine per verificare che gli abiti prodotti non siano stati cucini in uno dei tristemente celebri lager di rieducazione dei detenuti cinesi, i laogai, una forma di detenzione introdotta negli anni Cinquanta e originariamente rivolta ai dissidenti del Partito Comunista che consente ai poliziotti di applicare pene minime di tre anni senza passare attraverso il grado di giudizio in tribunale.
I pantaloni sono stati ordinati da Primark nel 2009 e venduti nell’Irlanda del Nord a ottobre dello stesso anno. Ci sembra molto strano che tutto ciò sia venuto alla luce solo di recente, dato che i pantaloni sono stai venduti quattro anni fa. Primark lavora in prima linea per rendere sicure le condizioni di lavoro per gli addetti ai lavori
si legge nel comunicato di Primark dato alla BBC (qui il testo originale): al momento non si hanno approfondimenti in merito.
Di lavoratori sfruttati nel mondo dell’industria tessile se ne parla sempre a intervalli regolari e solitamente in concomitanza con tragedie o anniversari: lo scorso anno il crollo di un palazzo a Dacca, in Bangladesh, aveva causato oltre mille vittime che le indagini avevano rivelato essere lavoratori sfruttati e sottopagati per conto di aziende di moda europee famosissime, tra le quali figuravano Benetton, H&M* e altri celebri marchi low cost. Indignazione globale, discussioni, polemiche, ma ben poco di concreto è stato fatto: nel primo anniversario della tragedia noi di Fashionblog ci eravamo proprio chiesti a che punto fossero le condizioni dei diritti dei lavoratori, grazie anche alla campagna Clean Clothes Campaign.
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