
Shein finisce di nuovo sotto accusa - fashionblog.it
Shein nel mirino dell’Antitrust per greenwashing. L’istruttoria riguarda le dichiarazioni ambientali ritenute fuorvianti. Sotto accusa anche le emissioni crescenti.
Nel mondo della moda veloce, dove tutto corre – tendenze, collezioni, acquisti – si fa sempre più spazio un tema difficile da eludere: la sostenibilità. Non è solo questione di materiali, ma di coerenza tra parole e azioni. E in questo scenario, il nome Shein si ritrova ora al centro di un’indagine ufficiale aperta dall’AGCM, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Nel mirino c’è Infinite Styles Services CO. Limited, la società che gestisce il portale italiano del gigante cinese. L’indagine ruota attorno a una domanda precisa: le promesse verdi di Shein sono reali, o solo marketing?
Dichiarazioni sostenibili senza prove: l’ombra del greenwashing
La questione parte da sezioni ben precise del sito, come “#SHEINTHEKNOW” ed “evoluSHEIN”. In queste pagine, l’azienda dichiara di perseguire obiettivi ambiziosi in tema ambientale: uso di materiali riciclati, modelli circolari, riduzione dell’impatto produttivo. Ma secondo l’AGCM, mancano dati verificabili a sostegno di tali affermazioni. Senza numeri, senza fonti, si rischia di rientrare a pieno titolo nel fenomeno del greenwashing, ovvero quella pratica che presenta come ecologico ciò che non lo è.

Il caso diventa emblematico. Le percentuali di fibre riciclate utilizzate nei capi sono poco chiare. La presunta circolarità del progetto evoluSHEIN appare, agli occhi dei regolatori, più narrativa che realtà. E l’azienda, già nota per i suoi ritmi produttivi accelerati e per i prezzi ultra competitivi, potrebbe ora essere chiamata a giustificare ogni affermazione.
Nel frattempo, dai rapporti di sostenibilità emergono contraddizioni forti. Mentre Shein dichiara di voler tagliare le emissioni di CO₂, i numeri raccontano altro: nel 2023, i gas serra prodotti sono stati 16,68 milioni di tonnellate, quasi il doppio rispetto al 2022, quando erano 9,17 milioni. Un incremento netto, che cozza con le promesse di decarbonizzazione.
L’industria del fast fashion davanti a uno snodo cruciale
L’impatto dell’indagine non riguarda solo Shein. Riguarda tutto un settore che da anni convive con accuse di superficialità ambientale, produzione eccessiva, mancanza di trasparenza.
Per Shein il rischio è doppio: da un lato una perdita reputazionale in un momento storico in cui i consumatori, specie i più giovani, vogliono coerenza e scelte chiare; dall’altro, sanzioni economiche che potrebbero avere riflessi anche pesanti, considerando il volume d’affari del gruppo.
Ma la posta in gioco non si limita a vendite e penalità. Oggi, gli investitori valutano anche l’impronta ambientale delle aziende. La sostenibilità non è più un accessorio, è un criterio concreto. E chi non riesce a fornire dati misurabili, chi non dimostra azioni concrete, rischia di perdere la fiducia dei mercati e dei consumatori.
L’istruttoria dell’AGCM rappresenta quindi un punto di svolta, forse il primo di questa portata in Italia sul tema del greenwashing nel settore moda. Una sorta di test per capire se le regole della comunicazione ambientale possono davvero cambiare. Shein sarà costretta a rispondere con documenti, dati, spiegazioni. E l’esito, qualunque sia, stabilirà un precedente.
In un contesto in cui le aziende raccontano di voler essere parte della transizione ecologica, saranno proprio questi momenti – le indagini, le verifiche, i confronti con le autorità – a mostrare se dietro le parole c’è davvero sostanza. Il fast fashion è arrivato al bivio. Sta alle aziende decidere se continuare a correre a vuoto, o cambiare davvero passo.