
Acqua del rubinetto, ma quale potabile: queste regioni italiane sono maglia nera, si salvano in poche -fashionblog.it
Un’analisi aggiornata condotta da Greenpeace conferma una situazione allarmante riguardo alla presenza di PFAS nell’acqua potabile italiana.
Oltre il 75% dei campioni prelevati in 235 comuni italiani risulta contaminato da almeno uno di questi composti chimici, utilizzati da decenni in numerosi settori industriali ma ormai riconosciuti come pericolosi per la salute umana e l’ambiente. Nonostante l’emergenza, l’Italia continua a non adottare limiti vincolanti rigorosi, a differenza di altri paesi europei come Danimarca, Svezia e Germania, che hanno già implementato normative più stringenti e piani di bonifica.
Le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sono composti sintetici largamente impiegati per conferire resistenza all’acqua, ai grassi e al calore in prodotti come pentole antiaderenti, tessuti tecnici, imballaggi alimentari e schiume antincendio. La loro caratteristica più preoccupante è la persistenza ambientale: non si degradano facilmente, accumulandosi nel terreno, nelle acque sotterranee e negli organismi viventi per decenni.
Acqua del rubinetto, ma quale potabile: queste regioni italiane sono maglia nera, si salvano in poche
Lo studio di Greenpeace, intitolato Acque senza veleni, ha analizzato 260 campioni di acqua potabile, riscontrando una contaminazione diffusa in quasi tutte le regioni italiane, con punte critiche in aree già note per l’inquinamento industriale. Tra le sostanze più rilevate figurano il PFOA e il PFOS, quest’ultimo classificato come possibile cancerogeno dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC).

Il PFOA, nonostante sia vietato a livello globale, è stato individuato nel 47% dei campioni, mentre il PFOS nel 22%.Un elemento particolarmente problematico è il TFA, un composto ultra-corto difficile da rimuovere anche con sistemi avanzati di filtrazione. È stato rilevato nel 40% dei campioni, inclusi quelli prelevati in zone rurali, dimostrando che la contaminazione si estende ben oltre i siti industriali e urbani, infiltrandosi nelle falde acquifere e nelle condutture domestiche.
Nonostante la crescente evidenza scientifica sui rischi associati ai PFAS, l’Italia non ha ancora introdotto limiti vincolanti per la concentrazione di queste sostanze nell’acqua potabile. La direttiva europea 2020/2184, che entrerà in vigore a gennaio 2026, stabilisce un tetto massimo di 100 nanogrammi per litro per la somma di 24 composti PFAS, ma l’Agenzia europea per l’ambiente ha già segnalato come questa soglia sia insufficiente a garantire una protezione efficace della salute pubblica.
Mentre in Danimarca, Svezia e Germania sono attivi limiti più severi e strategie di monitoraggio continuo, l’Italia rimane ferma su valori che, in quei paesi, verrebbero considerati superati nel 41% e 22% dei casi rispettivamente. Questo gap normativo espone la popolazione a rischi concreti e certificati. Greenpeace ha chiesto con forza un intervento immediato, proponendo l’introduzione di limiti più restrittivi, l’istituzione di una rete di controlli frequenti e trasparenti, e la graduale eliminazione dell’utilizzo industriale di PFAS.
