
Il lato oscuro degli abiti usati: l'inquietante scoperta che ha lasciato tutti di stucco -fashionblog.it
Un’inchiesta recente condotta ha rivelato aspetti inquietanti riguardo al destino degli abiti usati raccolti attraverso i cassonetti dedicati in Italia, nonostante l’obbligo di raccolta differenziata introdotto nel 2022.
Il monitoraggio, effettuato tra giugno 2024 e maggio 2025, ha tracciato il percorso di 26 capi d’abbigliamento usati dotati di GPS, evidenziando come gran parte di questi vestiti finisca in destinazioni lontane e poco trasparenti, con conseguenze ambientali e sociali preoccupanti. Secondo i dati aggiornati, ogni cittadino europeo acquista in media 19 kg di tessuti e abbigliamento all’anno e produce circa 16 kg di scarti tessili.
In Italia, la raccolta differenziata dei rifiuti tessili urbani è obbligatoria dal 2022, ma solo il 19% di questi materiali viene effettivamente conferito nei cassonetti dedicati, ovvero meno di 3 kg pro capite. Ciò che accade dopo la raccolta è però ancor più inquietante: solo 2 dei 26 capi monitorati hanno trovato una reale collocazione nel mercato del riuso, mentre il destino degli altri rimane incerto.
Il lato oscuro degli abiti usati: l’inquietante scoperta che ha lasciato tutti di stucco
L’inchiesta ha rilevato che 4 capi sono finiti in India e altri 4 in diversi Paesi africani (Tunisia, Sudafrica e Mali), in regioni prive delle strutture adeguate per il trattamento corretto degli scarti tessili. Gli altri vestiti si sono fermati tra Italia ed Europa, ma spesso senza un reale riciclo o riutilizzo.

I capi d’abbigliamento tracciati hanno percorso complessivamente oltre 100.000 chilometri, equivalenti a 2,5 volte la circonferenza terrestre. La distanza media percorsa è stata di 3.888 km, con un caso estremo che ha superato i 21.000 km. Questi spostamenti generano significative emissioni di gas serra, calcolate grazie al supporto della startup Indaco2, rendendo il sistema altamente insostenibile dal punto di vista ambientale.
Alcuni vestiti sono stati spediti in zone come la città indiana di Panipat, nota per l’inquinamento causato dall’industria informale del riciclo tessile, dove le acque sono contaminate e i rifiuti non recuperabili vengono bruciati, peggiorando la qualità dell’aria. Similmente, in Africa, l’assenza di strutture adeguate per lo smaltimento degli scarti tessili aggrava la situazione, alimentando un sistema che sfugge a qualsiasi controllo e genera danni ambientali e sociali.
I Paesi occidentali non solo abbiano delocalizzato la produzione di abiti fast fashion e ultra fast fashion in Asia, con evidenti ripercussioni ambientali e sociali, ma continuino a esportare i propri rifiuti tessili verso il Sud Globale, dove spesso non esistono le capacità necessarie per gestirli correttamente. Il modello attuale di produzione e smaltimento dei tessuti risulta così fortemente insostenibile.
Le associazioni ambientaliste invitano a un ripensamento radicale della gestione dei rifiuti tessili, chiedendo interventi non solo nella fase di raccolta e smaltimento, ma soprattutto un freno deciso alla produzione massiva di abiti a basso costo tipica della fast fashion, fenomeno che contribuisce in misura rilevante al degrado ambientale e alla proliferazione di filiere illegali e dannose.
